Nomi poco azzeccati

Nomi poco azzeccati

In psichiatria, e più in generale in tutte le neuroscienze, sembra sia in corso da tempo un campionato che premia il nome meno azzeccato. Il termine “Schizofrenia”, che per oltre due secoli ha rappresentato il paradigma della malattia mentale, non fa eccezione a questa curiosa tendenza a sviluppare nomi poco felici per definire alcuni fenomeni patologici ed i loro trattamenti.
Non vi è alcuna correlazione tra il significato etimologico della parola e l’entità patologica a cui tale parola si riferisce, ed il nome “schizofrenia” è stato mantenuto essenzialmente per ragioni storiche. Verso la fine dell’800 lo psichiatra tedesco Emil Kraepelin identifica come un’unica malattia la “dementia praecox” (che non è una demenza e non sempre è precoce) separandola dalle psicosi maniaco-depressive: In tal modo le psicosi maggiori vengono divise in due poli, uno più vicino a quelli che modernamente saranno poi definiti disturbi dell’umore (o disturbi affettivi) ed un altro più vicino alle psicosi di tipo schizofrenico.
Soltanto ai primi del ‘900 un altro psichiatra svizzero, Eugen Bleuler, introduce il termine Schizofrenia (dal greco: “mente divisa”) allo scopo di migliorare e sviluppare il concetto di malattia definito fino a quel momento “dementia praecox”. Bleuler scrive: “…chiamo schizofrenia la dementia praecox perché, come spero di dimostrare, una delle sue caratteristiche più importanti è la scissione delle diverse funzioni psichiche..” . In realtà l’insigne collega non arrivò a dimostrare alcunché, ma soltanto ad allargare il ventaglio delle forme morbose a cui il nome “schizofrenia” veniva appiccicato.
Gli autori che in seguito si sono accapigliati sulla definizione di questi quadri patologici hanno fornito enormi contributi alla scienza e scarsi contributi alla chiarezza, basta pensare che attualmente nel dibattito specialistico sulla Schizofrenia si confrontano le seguenti (ed altre) posizioni:
– la schizofrenia è una malattia specifica, ma si manifesta in maniera eterogenea e non sappiamo perchè – la schizofrenia è un continuum di condizioni affini, ma di consistenza clinica diversa
– la schizofrenia è un modo per chiamare la via finale comune di fattori nocivi eterogenei che determinano in ultima analisi un funzionamento cerebrale patologico.
Possiamo quindi immaginare come mantenere un termine storico potesse essere meno confusivo rispetto al riaprire un dibattito su posizioni del genere. La confusione aumentata quando l’uso termine è basato sul senso comune ed in termini non specialistici. A tale proposito e per cercare di fare un po’ di chiarezza potrebbe essere interessante definire ciò che NON si intende con il termine “schizofrenia”
Qualunque sia l’accezione del termine, quando si parla di schizofrenia NON intendiamo in alcun modo riferirci a:
persone che si comportano un minuto in un modo, ed un minuto dopo in un altro
persone che assumono atteggiamenti opposti tra loro nell’arco di un breve periodo di tempo
persone che hanno una o più lesioni cerebrali
persone che hanno una divisione in qualche modo peculiare delle funzioni localizzate nei due emisferi cerebrali
persone che hanno una lesione del corpo calloso che connette gli emisferi cerebrali.

Se riusciamo a far capire che schizofrenia è soltanto un nome poco azzeccato che si riferisce ad un disturbo mentale che non ha sintomi e segni caratteristici per la sua diagnosi avremo reso un piccolo ma significativo contributo al chiarimento dell’enorme confusione esistente sulle patologie della mente e del suo cervello.

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